Il Prof. Michele Boldrin dice la sua sui dati relativi all'istruzione in Sardegna mostrati durante l'evento fondativo di 'Sardegna in prospettiva', con una visione che spiazza tutti gli interlocutori e il pubblico, e dalla quale è opportuno far nascere una riflessione.
Ecco il suo intervento specifico.
Secondo l'autorevole economista, i dati sull'istruzione della Sardegna, per quanto gravi, non si discostano in modo statisticamente significativo dal resto d'Italia, soprattutto da alcune zone d'Italia.
Per questo motivo il focus della discussione viene subito spostato su una dimensione nazionale e non più strettamente regionale.
In questo modo vengono meno alcune delle argomentazioni tipiche del dibattito sardo che tendono a giustificare, o per lo meno motivare, le pessime performance dei sardi nell'istruzione. Ci si riferisce, ad esempio, alla distanza di alcuni centri abitati rispetto alle scuole/università di riferimento, alla condizione di insularità ed alle difficoltà di mobilità interne alla Sardegna le quali, a detta di molti, inficerebbero negativamente sulla nostra resa scolastica e universitaria.
Il Prof. Boldrin ribalta questa visione, affermando che ciò non ha nulla (o poco) a che fare con quanto si è osservato nei dati in quanto, per come è distribuita la popolazione della Sardegna, una percentuale prevalente di essa risiede nei centri urbani più importanti e popolati dell'isola e nelle sue zone limitrofe e che, pertanto, l'incidenza statistica di questa maggioritaria fetta della popolazione sia quella che poi, inevitabilmente per via della sua dimensione, influenza i dati complessivi.
Se andiamo ad osservare i comuni sardi per popolazione, in effetti, possiamo desumere con facilità che solo gli agglomerati urbani di Cagliari e Sassari, due centri più importanti e sedi delle due università isolane, "assorbono" rispettivamente 430mila e 256mila abitanti rappresentando, da soli, quasi 700mila abitanti, ovvero il 40% circa della popolazione totale sarda. Se a questi aggiungiamo gli altri centri urbani e relativi hinterland come Olbia, Nuoro, Oristano ed Arbatax/Tortolì, si raggiunge il 60/70% della popolazione totale.
Questo significa, seguendo il ragionamento di Boldrin, che una percentuale che va dal 60 al 70% dei sardi ha mediamente una facilità a raggiungere gli istituti scolastici e/o le sedi universitarie (centrali o distaccate).
Se a questo aggiungiamo che, in relazione alla generosità della Sardegna in termini di diritto allo studio, la stessa risulta essere tutt'altro che poca (per fortuna!), possiamo arrivare ad una conclusione molto simile a quella del Prof. Boldrin.
Insomma, in Sardegna il diritto allo studio, inteso in senso più ampio del termine, appare per nulla negato e, pertanto, occorre concentrarsi non tanto sulle questioni logistiche e politico-amministrative in senso stretto, per quanto comunque importanti e da non trascurare, ma più sul vero fulcro della questione, ovvero l'aspetto culturale del problema.
E non si può di certo negare che la questione abbia una dimensione di tipo nazionale, che vede l'Italia fanalino di coda in Europa.
Certo, alcuni dati rimangono sconvolgenti, su tutti il tasso di abbandono scolastico, non solo elevatissimo ma addirittura in recente aumento.
Dobbiamo considerare, per concludere, il problema nella sua interezza e nelle sue componenti culturali, concentrandosi su come la questione istruzione sia affrontata all'interno delle famiglie, di come essa sia percepita dalla popolazione adulta e da essa trasmessa, nel ruolo di genitori, a quella giovane, di come il tema dell'istruzione e della cultura venga diffuso e descritto nella società e negli scambi sociali quotidiani fra individui, istituzioni e mass media.
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