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Turismo in Sardegna (e in Italia): risorsa o illusione? Il parere di Michele Boldrin

Aggiornamento: 12 nov 2019

Settore di cui si parla e spesso straparla, il turismo rappresenta da decenni oggetto dei più svariati dibattiti in Sardegna, oltreché di campagne elettorali che promettono la luna nel pozzo citando il destino turistico sardo che a nostro avviso non è mai esistito, non esiste e mai esisterà se non nelle illusioni di molte persone.

Descritto dai più come nostra vocazione più naturale (insieme all'agropastorizia) e come settore strategico su cui puntare e grazie al quale la Sardegna potrà crescere.

Ora, a prescindere dai dati mostrati e dalle apparenti contraddizioni che ne scaturiscono, vogliamo concentrarci sul carattere strategico del settore.

Una mitologia che riteniamo di dover sfatare o quantomeno ridimensionare.

E' diffusa infatti fra i sardi la convinzione che il turismo porti ricchezza, crei valore, crei posti di lavoro.

Ma questo è vero solo in parte.

Ricchezza per chi e lavoro di che tipo?

Ricchezza per chi possiede attività turistiche, soprattutto di un certo livello, e quasi solo per essi, tra l'altro spesso non sardi.

Lavoro di che tipo? Quasi sempre precario, a pochissimo valore aggiunto, poco dinamico, facilmente sostituibile (e, stretta conseguenza, mediamente poco retribuito) e poco incline agli impatti tecnologici, così come l'intero settore turismo (se non nell'aspetto web di attrazione dei consumatori, così come per qualsiasi altro settore esistente al mondo).


Immaginiamo i molti lettori che in questo momento stanno pensando allo chef stellato, al maître di lusso o all'amico che, partendo dal lavoro stagionale, è riuscito ad ottenere negli anni una crescita di carriera fino ad essere il direttore dell'hotel di lusso e quindi ben retribuito.

Occhio a non cascare nel tranello che la mente sempre ci offre, si faccia attenzione alle proporzioni dimensionali di ciò su cui si ragiona. Quanti maître, quanti chef stellati, quanti direttori iperpagati in proporzione a sottopagati camerieri, baristi, operai, pulitori di cessi, facchini e autisti?


E' sufficiente leggere l'ultimo rapporto dell'Osservatorio sul mercato del lavoro nel turismo per rendersi conto pienamente di queste proporzioni che, oggettivamente, non lasciano adito ad interpretazioni. Dati che parlano chiaro e che, oltre a smitizzare il turismo in termini di impatto sul mercato di lavoro, mostrano che in Sardegna questo settore non sia affatto predominante come impatto economico e non rappresenti quindi alcuna presunta vocazione. Potenziale sì, vocazione no.

Il turismo è anche un settore complesso da misurare con precisione, in quanto riguarda svariati settori di cui usufruiscono anche i residenti (si pensi al cosiddetto indotto edile, ristorazione ecc.) e pertanto occorre sempre molta cautela nel calcolarne i risultati totali, dati spesso oggetto di slogan o addirittura inventati da chi discute di turismo in modo fazioso.


D'altronde è una questione di ambizione ed è questo il vero punto centrale.

A cosa vogliamo ambire?

A cosa ambisce la Sardegna?

Dove i cittadini e la loro classe politica vogliono portarla?

Se la nostra ambizione è continuare ad essere un agglomerato di forza lavoro di bassa manovalanza, allora sì, ben venga il turismo.

Ma se vogliamo, invece, cambiare rotta e puntare a far sì che la Sardegna possa ospitare altri tipi di distretti, prendendo come riferimento, magari, realtà come Silicon Valley, beh allora direi che il turismo andrebbe lasciato da parte, concentrandosi ed investendo su istruzione e tecnologia, e non su settori che fabbricano lavori precari, fungibili e con bassi requisiti intellettuali.


Senza contare l'impatto ambientale del turismo di massa, che è quello prevalente in Sardegna.

Spiagge spesso maltrattate e sovraffollate, inquinamento, erosione del territorio, competizione nell'accesso di beni e servizi fra turisti e residenti.

Tutti problemi che affronta qualsiasi città/luogo che prova a fare del turismo la sua leva economica (vedasi i recenti casi di Venezia e Firenze).


E con questo, sia ben chiaro, nessuno afferma che il turismo andrebbe abolito ex lege.

Il turismo è sicuramente un settore di cui tener conto, da valorizzare (che non vuole dire necessariamente puntare a farlo crescere esponenzialmente) e gestire in modo intelligente. Tutto questo a nostro avviso significa avere meno ma più selezionato turismo, e ci torneremo in un altro articolo quando parleremo di turismo sostenibile.

Quello su cui vorremmo provare a riflettere è la natura per nulla salvifica del turismo e il fatto che nessun paese al mondo, in termini di vera crescita economica e di impatto radicale su di essa, e ribadiamo nessuno, si è mai arricchito veramente dal turismo.

Siamo disponibili, ovviamente, a chi è pronto a dimostrare il contrario.


L'ultima parola la lasciamo al Prof. Boldrin.



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