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Il resoconto di 'Sardegna in prospettiva'

Aggiornamento: 13 nov 2019


Davanti ad oltre 100 persone presenti, fra cui numerosi giovani under 30, Michele Boldrin si è confrontato con Bianca Biagi e Carlo Pala durante l’evento ‘Sardegna in prospettiva: conversazione con Michele Boldrin’, svoltosi a Sassari il 14 ottobre.

L’illustre professore, proveniente dalla Washington University in St. Louis e con alle spalle una pregevole carriera accademica di livello internazionale, era l’ospite d’onore della serata in cui si sono affrontati alcuni fra i temi cruciali per poter esaminare la visione in prospettiva, appunto, della Sardegna.



L’evento è stato organizzato con il patrocinio di ‘Liberi, oltre le illusioni’, di cui Prof. Boldrin è cofondatore e Gianni Carboni, moderatore dell’evento, referente per la Sardegna. Si tratta di un movimento culturale di controinformazione economica nato recentemente ed a cui hanno già aderito alcuni fra i più importanti esperti e tecnici di temi socioeconomici italiani, che sta avendo molto appeal fra i giovani e nei social.


In questo link il video completo trasmesso in diretta streaming: https://youtu.be/39O1G1Gbph0. In questo, invece, le slide presentate e discusse durante il confronto fra i presenti: http://bit.ly/2VPEd0z.


Qui di seguito un resoconto dettagliato dell’evento.


Una volta rotto il ghiaccio, il dibattito ha subito esaminato il primo tema posto all’attenzione dei relatori dal moderatore. “Questione di priorità” è il titolo del primo macroblocco tematico, accompagnato dalla proiezione di dati e grafici attinenti allo stesso, così come avvenuto per tutti gli altri temi.

Nel dibattito pubblico sardo ed in quello italiano, spesso ci si concentra su priorità che non sono priorità, o meglio che a loro volta hanno una causa ancor più prioritaria che accorpa e precede tutte le altre e che rappresenta, invece, la leva più importante per migliorare ognuna delle questioni attuali e future”.


Si entra nel vivo con ciò che è stato ritenuto il tema dei temi: l’istruzione, un settore in cui i sardi non brillano di certo. Tasso di abbandono scolastico, percentuale di popolazione in possesso di un titolo di studio di istruzione terziaria, percentuale di NEET, scelta negli indirizzi di studio, sono solo alcuni dei dati evidenziati e in cui la Sardegna ne esce con le ossa rotte. Eppure l’istruzione dovrebbe “convenire”, come viene dimostrato dai dati, redditi più alti e meno disuguaglianza sono le conseguenze che emergono nei paesi in cui vi è maggiore istruzione.


Uno dei limiti principali nella gestione dell’autonomia della Sardegna, passa dalla mancata programmazione regionale in termini di istruzione avvenuta negli ultimi 40 anni.”, sostiene Pala, esperto politologo e docente di scienze dell’amministrazione all’Università di Sassari, “Eccetto qualche sforzo attuato dalla Giunta Soru e il progetto Iscola, non emerge nient’altro di significativo. E’ anche vero che i dati, per quanto disastrosi, non si discostano poi così tanto da alcune regioni italiane. Manca una concreta attuazione dell’autonomia nell’istruzione, che invece in altre regioni è avvenuta. Se la politica sarda avrà il coraggio di attuarla, i sardi non saranno certo da meno di qualsiasi altra regione. E’ questo il centro della questione da un punto di vista politico, attuare concretamente l’autonomia sarda per favorire l’istruzione”.


Siamo pochi e lontani, con difficoltà a raggiungere la terra ferma. La perifericità della Sardegna, aggiunta ad una popolazione poco numerosa e non particolarmente giovane, incide anche sull’istruzione. L’ICT prescinde dalla geografia, per questo l’istruzione sarda deve puntare su questo e, nonostante tutto, sta provando a farlo. Favorire lo sviluppo delle start up ad alto capitale umano, questo è quello che bisogna fare e che si sta facendo, con mille difficoltà”, sottolinea Biagi, docente di politica economica e di economia del turismo all’Università di Sassari e coordinatrice scientifica del rapporto Crenos.


Quando la parola passa a Boldrin il fulcro del dibattito viene di fatto ribaltato, ovvero a suo avviso non ci sono elementi per parlare di una “specificità sarda”.

La Sardegna fa parte del sistema Italia, punto. Non vedo nessuna specificità sarda, di per sé, rispetto al resto delle altre regioni, nell’istruzione così come in altri settori. La Sardegna è sì fuori media italiana ma di poco, non di tanto. Il primo invito che voglio fare è quello di allontanare il dibattito da presunte specificità sarde, che io sinceramente non noto. Se gli studenti abbandonano la scuola o hanno risultati inferiori, l’insularità non c’entra. Il confronto regionale più utile per analizzare i dati, considerata l’autonomia della regione Sardegna e le sue caratteristiche dimensionali, dovrebbe essere quello con il Friuli Venezia Giulia il quale, senza particolare politiche autonome specifiche, ottiene risultati migliori. Ma al di là di questo, i problemi dell’istruzione che hanno i sardi non sono poi così diversi da quelli degli altri cittadini italiani, quindi occorre allontanarsi dal terreno degli alibi geografici e di mobilità come causa dei risultati nell’istruzione.


Il dibattito va avanti e si sposta sulle aspirazioni autonomiste presenti in svariati livelli ed intensità nei cittadini sardi. Alla luce di alcuni dati apparentemente contradditori con questo sentimento, quali la spesa pubblica pro capite ed in percentuale al PIL in cui la Sardegna risulta rispettivamente quarta e prima fra le regioni italiane, con un contestuale PIL pro capite fra i più bassi (69% della media europea), è giustificato tale sentimento comune? Oppure si tratta di campanilismo, provincialismo e assistenzialismo? È questa la domanda posta agli ospiti.


Carlo Pala pone l’accento su questioni che ancora scottano nel territorio isolano. Il sentimento indipendentista in Sardegna è presente ma non maggioritario, oltreché politicamente mai incisivo fino a questo momento. Noi possiamo essere definiti come una nazione senza stato, come si suol dire in termini scientifici. Questo tipo di sentimento non è un’invenzione ma è basato su dati concreti. Oggi in Sardegna esiste un dibattito che a mio avviso è quello centrale: interrogarsi sul tipo di Statuto che, da troppo tempo, non traduce a sistema il sentimento del popolo”.


Incalzato da Boldrin, Pala prosegue citando la famosa vertenza entrate “soriana”: “Lo Stato centrale è debitore nei confronti della Sardegna per 10 miliardi di euro, in virtù del non rispetto dello statuto stesso, avente rango costituzionale. Ho scritto un articolo sul tema finora mai contraddetto (http://bit.ly/2MLm6ok). In funzione di questo debito è stato firmato un accordo che prevedeva la restituzione dello stesso e, come contropartita, l’accollo unilaterale per la Sardegna del finanziamento di sanità e trasporti. Sarebbe bastato chiedere quanto dovuto, cosa che la politica sarda non ha mai fatto.”


Boldrin prende la parola e domanda a Pala se, qualora fiscalmente autonoma al 100%, la Sardegna ci guadagnerebbe o ci perderebbe, evidenziando come i dati della Ragioneria dello Stato porterebbero a propendere per la seconda ipotesi. Pala risponde sottolineando come la Corte Costituzionale ha due volte dato ragione alla Sardegna e che questo, politicamente, porta ad una non concretizzazione dell’autonomia sancita dallo Statuto sardo.

Il dibattito vive minuti di tensione in cui Boldrin insiste sul rimarcare che è la somma a fare il totale, e che quindi, anche qualora giuridicamente la Sardegna avesse ragione in questa disputa con lo Stato, ciò non compenserebbe il disavanzo attualmente in essere fra entrate e spese regionali (cosiddetto residuo fiscale), Pala invece controbatte su aspetti politologici legati alle diatribe costituzionali fra Stato e Regione e finora non risolte. Sono due modi diversi di vedere il tema molto presenti in Sardegna e questo dibattito li mette in luce in modo chiaro.


Biagi prova a rimettere in ordine la discussione, “Dal secondo dopoguerra in poi le regioni italiane hanno iniziato a divergere. Nonostante i finanziamenti a pioggia dati per il mezzogiorno, la divergenza ha continuato. I dati sui residui fiscali sono impietosi nel rappresentare questa situazione che vede tutto il sud come un percettore netto. Ciò che a mio avviso serve è lavorare per creare incentivi a migliorare la qualità delle istituzioni, a ricercare fonti di finanziamento esterne e a sensibilizzare la politica sulla gestione del bilancio pubblico.


Boldrin chiude il giro di interventi su questo complesso e spinoso tema: “Io sono da sempre un sostenitore del federalismo, ma quello vero. Quello che prevede, laddove possibile, la gestione dei servizi nel livello più vicino, in termini di complessità sociale e istituzionale, al luogo in cui tali servizi servono. È il cosiddetto principio della sussidiarietà. L’indipendentismo porta con sé sempre un duplice aspetto: l’aspetto culturale e l’aspetto politico-economico e i due non devono coincidere per forza. Per poter giustificare una rivendicazione di tipo secessionista, se si analizzano i fatti storici, si deve avere un supporto straordinariamente maggioritario della popolazione, cosa che in Sardegna pare non esserci.” La critica dell’economista va successivamente sull’attenzione che viene data in questi casi agli aspetti prettamente giuridici, perdendo di vista la questione socio-economica nel suo insieme.


Prova a chiudere la parentesi Pala sottolineando come, successivamente alla sentenza della corte costituzionale che dava ragione alla Sardegna, nessun governo sardo ha voluto presentare un ricorso nei confronti dello stato centrale, come invece è successo in Friuli Venezia Giulia. “I 10 miliardi non sono frutto di un’invenzione, sono dati elaborati dalla Regione Sardegna e mai contraddetti”.


Si va verso la conclusione con il terzo macro-tema: turismo e agro-pastorizia, da sempre rivendicati come massime vocazioni della Sardegna. I grafici mostrano l’apparente contraddizione, rispetto alla presunta vocazione agropastorale, dei dati sulle esportazioni sarde, che vedono abbondantemente al primo posto i prodotti petroliferi (83%!), seguiti da prodotti chimici ed armi, le quali rappresentano una quota quasi pari alla voce successiva, il settore lattiero-caseario. Seguono delle evidenze che dimostrano come il settore agricolo pesi pochissimo in termini di valore aggiunto ma, allo stesso tempo, abbastanza in termini di numerosità di imprese, portando alla conclusione che le imprese agricole siano troppe e poco produttive.


In questo caso inizia il giro di interventi Boldrin il quale rimarca la presenza di un “rivendicazionismo lamentoso molto presente in Sardegna, il quale è evidente anche nel dibattito sul turismo. Per via dell’evoluzione tecnologica, le pretese di regioni come Sardegna e Sicilia che potevano essere legittime nel secolo scorso, oggi risultano obsolete e fuori luogo. L’insularità, oggi, non può essere additata come vincolo per creare imprese locali, in quanto le tecnologie moderne facilitano i commerci e la circolazione delle informazioni come mai prima d’ora. Tutto dipende da come si gestiscono le risorse locali per facilitare questa evoluzione tecnologica”.

Il Professore insiste sul messaggio più forte che ha deciso di lanciare nell’evento ribadendo come “i problemi che i sardi rivendicano come vincoli specifici del territorio, in realtà non hanno nulla di specifico e sono problemi del sistema Italia nel suo complesso, né più né meno.


E per finire, una scossa finale all’ossessione chiamata turismo: “Il turismo è un settore fuori dalla rivoluzione tecnologica, poco dinamico e poco flessibile. Gli unici ad arricchirsi dal turismo sono i proprietari delle terre sulle quali sono stati costruiti gli alberghi, per il resto si tratta di lavori nella media che non spingono il territorio a crescere”.


Biagi prova a dare una definizione di turismo sostenibile affermando che “Il turismo deve essere sostenibile per definizione. Il prodotto turismo non esiste come entità univoca, è un insieme di beni e servizi scambiati sul mercato e non può che essere sostenibile, in quanto utilizza le stesse risorse che utilizzano anche i residenti del luogo, portando ad una sorta di competizione che, come in casi recenti, provoca disagi e contrapposizioni. Vivere di turismo forse no, non è possibile, però sicuramente se un territorio, per motivi climatici e naturali, ha una predisposizione maggiore a sfruttare il turismo come leva per creare reddito, non vedo motivi per non provare a puntarci di più, sempre all’interno dei vincoli della sostenibilità”.


Pala dà la sua visione da politologo concludendo il dibattito: “Il turismo da sempre come slogan delle campagne elettorali, successivamente accompagnate da poche azioni concrete e da figure politiche al timone del settore turismo risultate troppo spesso poco adeguate alle sfide del mercato. Tutti sembrano avere la stessa idea di turismo ma, alla fine, è sempre un’idea poco chiara e per nulla innovativa.


Si chiude il dibattito con le domande del pubblico e con i saluti finali.


‘Sardegna in prospettiva’ si è rivelato essere un dibattito particolarmente stimolante che è riuscito, nonostante i limiti tempo in proporzione a così tanti temi e così complessi, ad introdurre moltissimi elementi di confronto con una visione nuova e poco presente finora in Sardegna.


Si sono discussi temi in cui spesso vigono dei dogmi quasi intoccabili e sui quali solitamente dominano pensieri comuni diffusi nei dibattiti politici e nel sentire comune, affrontati invece in questa occasione cercando si sfatarli, o per lo meno di presentarli in una chiave diversa e più internazionale, per via della presenza di Boldrin, il quale ha sicuramente dato prestigio alla serata.


L’importante risposta del pubblico in termini sia di quantità che di qualità, dimostra come ci sia fame di eventi come questo anche in Sardegna. Molte questioni sono rimaste aperte e altre se ne apriranno.

Insomma, se l’obiettivo era quello di creare un nuovo punto di vista e scardinare vecchie convinzioni, affinché ognuno ripensi a come risolvere i problemi con nuove prospettive, allora si può dire che sia stato raggiunto.

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