Ora che sono passati tanti giorni (e che è quindi legale farlo), condividiamo l'intervista a Carlo Pala, politologo esperto di etno-regionalismo più volte nostro ospite, apparsa sull'Unione Sarda di giovedì scorso. Accompagnata da altri due interventi correlati al tema.
Peccato che questi pensieri profondi e lungimiranti siano quasi del tutto spariti nell'anima pulsante del dibattito sardo, perlomeno in quella dominante.
Noi e pochi altri siamo qui per provare ad invertire la rotta.
[INTERVISTA COMPLETA]
Il politologo Carlo Pala, studioso di partiti etno-regionali
«Le anime del pre-sardismo»
«Purtroppo quel che io chiamerei pre-sardismo non è conosciuto abbastanza. Vengono trascurate figure, molto diverse tra loro, che hanno dato numerosi spunti di riflessione sull'idea di autonomia e profondamente influenzato il Partito Sardo d'Azione».
Il politologo Carlo Pala, orunese, 46 anni, insegna Scienza dell'Amministrazione all'Ateneo di Sassari e all'Università nuorese. È Visiting Fellow all'Institut d'Etudes Politiques di Rennes e fa parte dell'Osservatorio della Specialità della Sardegna. I suoi interessi di ricerca riguardano il “cleavage” centro-periferia in Europa, gli indipendentismi, la politicizzazione delle identità sub-statali. Ha curato per l'editore Carocci il volume “Idee di Sardegna. Autonomisti, sovranisti, indipendentisti oggi” in cui si sofferma anche sul ruolo del Psd'Az, uno dei pochi partiti etnoregionalisti ancora in attività, vicino al traguardo dei cento anni. Quel partito nasce su basi robuste, elaborazioni raffinate, di grande respiro: «È poco noto che Giambattista Tuveri - sottolinea Pala - sia uno dei massimi pensatori federalisti europei; che Giorgio Asproni abbia prospettato per primo, a livello parlamentare, un decentramento amministrativo per l'Isola di stampo quasi federalista; che Attilio Deffenu abbia sviluppato l'idea di autonomismo di classe. E che dire di Umberto Cao, Floriano Del Zio, Giuseppe Musio, Giovanni Antioco Mura, Egidio Pilia, senza trascurare Giovanni Maria Angioy e Antonio Gramsci. È davvero una storia ricca quanto misconosciuta».
Nel 1921 Emilio Lussu scrive: «Vogliamo fare da noi; intendiamo dire che vogliamo essere noi gli artefici del nostro avvenire. Vogliamo essere noi a disporre delle nostre cose, ad amministrare le nostre sostanze, i nostri Comuni, l'Isola». Quale significato dare a queste parole?
«Credo che il significato delle parole di Lussu sia il più vicino possibile all'idea di autonomia per la Sardegna in quel periodo storico, quindi alla prospettiva federalista. L'autonomia è lo strumento che anche Lussu ritiene insostituibile per trasformare l'Isola in un soggetto politico per la prima volta dopo tantissimo tempo».
Il Psd'Az degli albori. Autonomista o indipendentista?
«Nasce come è sempre stato: un grande contenitore ideale dove a fianco di Giovanni Maria Angioy, omonimo del protagonista dei moti rivoluzionari sardi, e Bastià Pirisi, convintamente indipendentisti, seppur in minoranza, c'erano altre posizioni come quelle di Lussu, autonomista, e Bellieni, convintamente federalista. Differenze che non impedirono a Piero Gobetti di definirlo il primo partito politico italiano moderno».
Quali sono le radici dell'idea di indipendenza della Sardegna?
«Da un punto di vista ideale-intellettuale sono da rintracciare nel pensiero di Antonio Simon Mossa».
Perché l'opzione “indipendentista” non diventa maggioritaria nel Partito?
«Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta lo è anche diventata. Non è un mistero che l'opzione indipendentista cresca proprio con la critica all'autonomia speciale e al Piano di Rinascita. E cresce prima al di fuori del Partito, per esempio con l'esperienza di Su Populu Sardu, con i Carboni, Caria, Palermo, Pintore, e poi nel Psd'Az. L'indipendentismo sardo successivo ha cercato e trovato altre strade di maturazione del proprio bagaglio ideologico come, per motivi diversi, ci indicano le esperienze di Sardigna Natzione con Angelo Caria e di Irs con Gavino Sale».
Il Partito Sardo e la questione linguistica.
«Quando nasce il Partito dei Quattro Mori, a differenza di quanto avviene in altre nazioni senza Stato in Europa, il sardo è una lingua nazionale, l'unica parlata e compresa dalla stragrande maggioranza della popolazione. Il problema, per motivi di agibilità politica, era semmai il contrario, ovvero diffondere l'uso dell'italiano come lingua veicolare di un partito che voleva, e poteva, diventare di massa. Le cose cambiano dalla metà degli anni Sessanta. In quel momento il Psd'Az difende strenuamente la lingua sarda».
Com'è percepita, oggi in Sardegna, la storia centenaria del Partito dei Quattro Mori?
«Penso che gli avversari “interni” del Psd'Az, le forze della diaspora del sardismo, ne rispettino la storia e molte figure carismatiche che in cento anni hanno dato lustro al Partito. Così come i partiti “italiani” presenti in Sardegna non possono non averne rispetto».
I giovani che cosa sanno della storia del sardismo?
«I giovani sanno poco della storia del sardismo, ma chi la studia se ne innamora. È affascinante pensare che leader e teorici della politica abbiano cercato di costruire e rafforzare un'identità che tutti, più o meno, sentiamo nostra in quanto sardi. Se si utilizzasse una parte dei poteri della specialità per fare una legge sulla scuola e sull'università si darebbe alle giovani generazioni la possibilità di comprendere meglio il senso di quella storia che esprime un patrimonio culturale comune».
Massimiliano Rais
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