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Costo-beneficio e gestione coronavirus in Sardegna

È un esempio che cito sempre, anche nelle chiacchierate fra amici e conoscenti, quando si parla di temi socio-economici.

Lo porto dentro di me, quando studio un fenomeno.

Un aneddoto personale, se volete anche banale, che ho vissuto tanti anni fa, ancora immaturo intellettualmente per quanto istruito, che mi ha colpito positivamente, accendendo una scintilla di ragionamento razionale e concreto alle questioni quotidiane.


Ma soprattutto, tremendamente attuale in queste settimane di temuto ritorno dell'emergenza coronavirus, con particolare riferimento al caso Sardegna.

Seguitemi.


Al tempo lavoravo in un'importante multinazionale della GDO, leader mondiale nel suo settore. Azienda con la A maiuscola, al top per qualità dei processi. Azienda che crea valore senza distruggerne.


In una riunione si discuteva di quali azioni adottare per limitare il più possibile i furti nei punti vendita, in quel periodo in aumento.

Ognuno proponeva le sue idee e ci si confrontava, puro (e benefico) brainstorming.

Chi suggeriva nuove tecniche di anti taccheggio, chi delle ronde di controllo, chi un servizio di videosorveglianza, chi l'appalto del servizio ad un'impresa esterna ecc..

Ogni proposta, ovviamente, aveva un costo.


Ad un certo punto, dopo qualche decina di minuti di discussione, si è arrivati a questa conclusione: il costo per impedire in modo drastico i furti è maggiore del beneficio ottenuto dall'eliminazione dei furti stessi (ossia è maggiore del valore dei furti).


In soldoni: il valore dei furti annuale era di X. Il costo per impedire che i furti avvenissero era maggiore, e non di poco, di X. Pertanto, impedirli sarebbe stato un danno economico per l'azienda.


Lo so, ripeto, sembra banale, ma in quel momento per me non lo era affatto. È stata come una luce nel mio cervello un po' assopito. Stavamo disperdendo ore, energie e risorse (utilizzabili per altro, ergo sopportavamo un costo opportunità) per risolvere un problema la cui risoluzione sarebbe costata più del problema stesso.


Costo furto: X.

Costo eliminazione del furto: X*2,5 (almeno).


Quindi si decise... di non far nulla. O meglio, di migliorare e perfezionare certamente le nostre già esistenti procedure, ma di non adottarne di nuove.

Ci dovevamo "arrendere" al fatto di avere dei furti (per i quali, tra l'altro, venivano accantonate annualmente apposite quote di fatturato), cercando di ridurli ma consapevoli che non sarebbe stato possibile eliminarli, in quanto non conveniente.


È il concetto di COSTO-BENEFICIO (strettamente collegato a quello di costo-opportunità), quello che dovrebbe essere alla base di ogni scelta quotidiana, personale così come della società tramite la propria classe dirigente. Alla base dell'intera scienza economica e, in teoria, di qualsiasi scelta ragionevole di politica economica ma non solo economica.


Un concetto FONDAMENTALE, eppure così poco conosciuto e/o non applicato.


Vale la stessa cosa nella delicatissima gestione del coronavirus.

Può sembrare assurdo, ma lo stesso identico concetto su espresso, andrebbe applicato, brutalmente, alle scelte politiche inerenti al coronavirus.

Fidatevi, è esattamente così.


Da un lato abbiamo dei casi di coronavirus in aumento nelle ultime settimane, che stanno facendo temere un ritorno della grave emergenza vissuta nei mesi scorsi.

Dall'altro, un'economia drammaticamente in ginocchio, la perdita di posti di lavoro, interi settori al lastrico, famiglie agli sgoccioli o al limite dell'autosufficienza, con una burocrazia incapace di ammortizzare il tutto (ma questo è un altro discorso).


Abbiamo dei costi sanitari e dei costi economici che collimano e contrastano allo stesso tempo.

Per analizzare il costo beneficio, non si può non tener conto di alcuni aspetti:

- i casi stanno aumentando, sì, ma non in modo drastico

- i casi riguardano soggetti la cui età media è nettamente più bassa rispetto ai primi mesi dell'anno

- il nostro sistema sanitario, ora, è più pronto all'emergenza, ha imparato (a caro prezzo!) come affrontarla

- i soggetti più vulnerabili, quindi, sono al sicuro, molto più di prima, e, pertanto, i nuovi casi preoccupano molto di meno (cosiddetto effetto Harvest: http://bit.ly/effettoHarvest)

- corollario: nonostante l'aumento, i casi in terapia intensiva sono ridotti all'osso (in Sardegna, sono pari a zero) e, quindi, nessun collasso del sistema sanitario è al momento razionalmente plausibile.

Per comprendere meglio tutti questi aspetti, consiglio la lettura di questo articolo: http://bit.ly/emergenze-a-confronto.


Queste valutazioni sono quanto mai attuali in Sardegna, diventata per molti, a torto, la nuova Lombardia. L'isola del contagio, degli infetti, degli appestati.


In Sardegna è in corso un aumento dei casi, è vero, ma vale quanto sopra elencato, in ogni singola voce.


In Sardegna, in queste settimane, un flusso importante di turisti ha creato PIL e occupazione per tantissime persone.

Alberghi, ristoranti, tutto l'indotto dei servizi turistici e non, hanno riaperto e stanno lavorando in modo più che accettabile rispetto alla situazione, quasi insperato.

Letteralmente, migliaia di sardi hanno ripreso a respirare grazie al risveglio del settore.


Quindi, da un lato, i costi sanitari (ed economici che ne conseguono), dall'altro i benefici di una ripresa dell'economia, in questo caso, a torto o a ragione, di uno dei più importanti settori della Sardegna (con l'aspetto aggiuntivo, badate bene, che i benefici in questo caso, creando risorse e gettito fiscali, sono indispensabili anche per supportare i costi sanitari, aspetto peculiare rispetto all'esempio dei furti che ne rafforza il ragionamento sottostante in quanto ne sottostima i benefici a parità di condizioni).


Che rapporto c'è fra essi nelle scelte che sembrano tornare in voga in questi giorni, di ipotetiche nuove chiusure?


Il nostro sistema sociale è in grado di assorbire tutti i costi senza implodere nella recessione più grave di sempre?

E i benefici sono sufficienti a compensare i costi?


Sapete che non mi sono mai sbilanciato in questa delicatissima questione, ma, sulla base di quanto finora studiato, sono nelle condizioni di poter affermare che, così come i furti nei punti vendita dell'esempio iniziale, i costi complessivi per "debellare" il contagio del virus (in termini di sussistenza economica e di tutto ciò che ne consegue) sono enormemente maggiori rispetto al beneficio di "arrendersi" al fatto di accettare la presenza di un determinato numero di contagi ma rimanere vivi in termini economici, tenendo BEN presente l'elenco di cui sopra, in cui si evince che i contagiati di oggi non sono minimamente paragonabili, in termini qualitativi, a quelli dell'inizio dell'emergenza.


Costo sociale del coronavirus con simultanea sopravvivenza economica: X.

Costo sociale per annullare il contagio (limitando le capacità economiche di milioni di persone): X * γ, dove γ è un valore > 1 che al momento non sono in grado di stimare ma che, aspetto importantissimo, dovrebbe tenere conto del fatto che questa voce contribuisce a sorreggere la prima in quanto contenitore generale dal quale poter reperire le risorse finanziarie collettive (!).


Il costo di un evento, infatti, è pari al beneficio della non realizzazione dell'evento stesso, ricordatelo sempre. In questo caso, tale beneficio, è ampiamente sottostimato in quanto strettamente collegato alla capacità di reperimento complessivo di risorse sociali.


È brutalmente così.

È un'analisi lucida e distaccata, come dovrebbero essere le analisi che poi si ripercuotono sulla vita di milioni di persone.

Senza farsi dominare da sentimenti, debolezze ed emozioni, ma guardando alla cruda realtà dei fatti.

In modo solo apparentemente cinico, ma certamente e maggiormente benefico per tutti.


my2cents

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